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Secondo quanto riportato nella legislazione italiana, si intende con associazione un’organizzazione non professionale di natura privata costituita da due o più persone, fisiche o giuridiche, che si aggregano in maniera volontaria col fine di perseguire uno scopo legittimo di natura ideale. La possibilità di associarsi deriva dal diritto di libertà associativa o di libera associazione che dir si voglia, garantito dall’art. 18 della Costituzione Italiana, che sancisce la legittimità di radunarsi in congregazioni senza la necessità di autorizzazioni esterne. Le uniche limitazioni imposte a questa facoltà riguardano l’intento del sodalizio, che non deve costituire reato ne’ perseguire scopi politici attraverso l’uso della forza.
Le tipologie di associazioni riconducibili alla definizione esposta poco sopra si possono racchiudere in tre macro aree: le associazioni create da aggregati informali, che non ambiscono ad alcun tipo di riconoscimento o contributo e non sono dunque sottomesse ad alcun vincolo, le associazioni sportive (di cui tratteremo in seguito), e le associazioni del terzo settore, una molteplicità di enti dalle caratteristiche profondamente differenti che intendiamo trattare nelle righe qui sotto.
Nascendo dal libero accordo di più persone animate dalla volontà di associarsi, le associazioni del terzo settore vantano solitamente una struttura democratica finalizzata a garantire la massima partecipazione di ogni associato alle decisioni del gruppo. Le modalità secondo cui questi principi trovano applicazione nell’amministrazione pratica dell’ente sono generalmente espressi all’interno dello statuto, che assieme all’atto costitutivo determina le caratteristiche fondamentali del sodalizio, e consistono in una sostanziale parità di diritti che accomuna gli associati e li rende egualmente degni di eleggere gli organi amministrativi e deliberare collettivamente riguardo le decisioni più rilevanti per il corpo sociale.
Lo scopo del congresso associativo non può essere di natura commerciale. Le associazioni del terzo settore, infatti, sono degli enti no profit in cui il valore che l’associazione apporta per il conseguimento dell’obbiettivo prefissato è dato dal contributo attivo degli associati, e non da un apporto di liquidità. La partecipazione di ogni socio ricopre un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell’ente, per questo non sono previsti requisiti specifici per entrare a far parte del sodalizio: ai nuovi membri viene riconosciuta la libertà di adesione, purché condividano lo scopo che l’associazione dichiara di perseguire.
Le finalità che questo tipo di associazioni possono prefiggersi riguardano temi ideali e obbiettivi generici capaci di apportare un miglioramento indiretto in termini di qualità della vita, alla congregazione o alla società tutta. L’esclusione delle finalità lucrative non significa però che le associazioni non possano svolgere alcuna attività economica: seppur con alcune limitazioni, le associazioni possono partecipare ad attività di tipo commerciale purché gli utili da queste derivati siano gestiti separatamente dai contributi degli associati e destinati allo scopo perseguito, di per sé non lucrativo.
A seconda della tipologia di intento che dichiarano di coltivare, le associazioni possono essere suddivise in cinque categorie:
Ognuna di queste merita di essere trattata con la dovuta attenzione all’interno di uno spazio dedicato, ma possiamo accennare qui che le principali distinzioni tra queste tipologie, oltre che nelle finalità, risiedono nella diversa gestione da parte dello Stato e nella possibilità di accedere ad alcuni contributi.
Con l’introduzione della Riforma del terzo settore, gli obblighi relativi alle diverse categorie stanno subendo delle profonde modifiche di cui non è ancora possibile dar conto con completezza. Nonostante i maggiori pronunciamenti in merito siano già stati esposti, infatti, molti dei decreti attuativi previsti per il completamento dell’opera legislativa non hanno ancora visto la luce.
Tratteremo più avanti le trasformazioni introdotte dalla riforma e gli adeguamenti richiesti, affidandoci anche al contributo di professionisti coinvolti attivamente all’interno del settore per indagare meglio le trasformazioni in atto.
Pur avendo alcune caratteristiche simili, comitato e associazione vengono considerate dal legislatore come entità distinte, soggette a diverse regolamentazioni e ad obblighi differenti (per la normativa che disciplina i comitati si fa riferimento all’ art.39 del Codice Civile Italiano. I tratti che differenziano queste due istituzioni potrebbero non essere di immediata comprensione, per questo è bene dedicare qualche riga a renderli espliciti.
L’ordinamento giuridico italiano definisce il comitato come un ente composto da un insieme di cittadini che si prefiggono come scopo la realizzazione di un’opera di pubblica utilità, specifica, unica e determinata. Al fine di raggiungere l’obbiettivo, espresso in maniera esplicita all’interno dell’atto costitutivo, i promotori sono soliti indire una sottoscrizione pubblica finalizzata al raccoglimento dei fondi necessari: più che dalle personalità coinvolte nel congresso, quindi, gli strumenti per raggiungere le finalità prefissate derivano dal contributo di soggetti esterni all’ente. Una volta raggiunto lo scopo per cui è stato costituito, il comitato può essere sciolto senza che ciò comporti alcunché per gli associati.
Lo scopo dei comitati, unico e di natura concreta, differisce quindi da quello delle associazioni che può essere plurimo e di natura ideale. Inoltre, una volta raggiunto lo scopo per cui il comitato è stato costituito, questo può essere facilmente disgregato: alla lunga durata delle associazioni si contrappone quindi il carattere intrinsecamente temporaneo dei comitati come una delle differenze fondamentali tra queste due modalità aggregative.
Un altro degli elementi che differenziano queste due entità riguardano l’aspetto economico e le modalità utilizzate per raggiungere gli scopi prefissati: mentre le associazioni si basano per lo più sull’attività svolta dai soci per concretizzare i propri obbiettivi, i comitati esprimono la loro attività tramite la raccolta di fondi provenienti dall’esterno che andranno a costituire un fondo atto a una autonomia patrimoniale imperfetta, garantire parzialmente i soci promotori dal dover rispondere in solido delle spese del comitato. All’interno del diritto societario questo grado di separazione patrimoniale viene indicata come autonomia patrimoniale imperfetta poiché, pur rendendo il gruppo identificabile come entità economica indipendente, resta garantita la possibilità di rifarsi su tutti i componenti e sui loro patrimoni qualora questi fondi non siano sufficienti a rispondere ad eventuali obblighi contratti nei confronti di parti terze: in concreto, infatti, l’insieme dei promotori risponde per l’impiego e la conservazione di tutti i fondi raccolti.
Considerati entrambi enti senza scopo di lucro, uno degli elementi principali attorno a cui si concretizzano gli elementi che differenziano le associazioni dalle fondazioni è indubbiamente la disponibilità di un patrimonio da destinare agli scopi che l’ente si propone di perseguire. Seppur anche le associazioni possano disporre di fondi da impiegare nelle attività che decidono di promuovere, nella fondazione l’elemento patrimoniale ricopre un ruolo prevalente al punto da risultare indispensabile per la loro istituzione: l’ordinamento italiano sembra non contemplare l’esistenza di fondazioni finanziate esclusivamente da contributi esterni.
A differenza delle associazioni inoltre le fondazioni basano la propria legittimità su un atto unilaterale che impegna i fondatori alla devoluzione del patrimonio in favore di una causa, senza che altre entità siano sottoposte ad obblighi equivalenti: contrariamente a quanto accade all’interno delle associazioni, infatti, nelle fondazioni le personalità da cui l’ente si origina non concorrono alla gestione amministrativa dell’organizzazione ma si limitano semplicemente a spogliarsi in maniera definitiva dei beni che desiderano destinare allo scopo prefissato. Non derivando da un impegno collettivo, le fondazioni possono essere costituite anche da un’unica persona o tramite l’espressione di una volontà testamentaria.
Il primo passo da compiere per chi desidera dar vita ad una associazione è sicuramente quello di individuare lo scopo su cui si desidera incentrare il progetto. Una volta chiarito l’obbiettivo che la neonata associazione si propone di perseguire bisognerà individuare un gruppo di persone che condividano questo ideale e siano disposte ad impegnarsi attivamente in dei progetti finalizzati alla sua concretizzazione. Le personalità che per prime aderiranno all’iniziativa e si impegneranno nelle procedure atte a costituirla formalmente diverranno diverranno i cosiddetti soci fondatori, nonché i primi membri che l’associazione potrà vantare. Il numero minimo di soci necessari perché l’ente possa essere costituito varia a seconda del tipo di associazione, ed oscilla tra un minimo di tre membri ad un minimo di sette per le associazioni di promozione sociale (APS) e le organizzazioni di volontariato (ODV).
Una volta individuato il nucleo di soggetti che costituirà l’associazione è necessario formalizzare gli obbiettivi e le attività scelte per perseguirli: per fare ciò bisognerà procedere con la redazione dell’Atto costitutivo e dello Statuto, che rappresentano i documenti fondamentali che orienteranno l’intera vita associativa. Le informazioni che dovranno essere incluse all’interno di questi atti possono variare a seconda della tipologia di associazione che si sta costituendo, ma fanno solitamente riferimento alle generalità dei soci fondatori e alle finalità che il congresso si propone di coltivare, oltre a stabilire le modalità che regolamenteranno l’organizzazione amministrativa dell’ente. Più in basso tratteremo questi atti in maniera più approfondita, per ora basti dire che la loro compilazione avviene solitamente durante l’Assemblea costitutiva, ossia nel primo incontro formale che vede presenti tutti i soci fondatori.
In seguito ad una accurata compilazione, ponderata attentamente secondo le necessità e le finalità dell’ente, lo Statuto e l’Atto costitutivo dovranno essere stampati, siglati in ogni pagina, e firmati da tutti i soci fondatori in modo da poter essere depositati, dal Presidente o da un suo delegato autorizzato in forma scritta, presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate di pertinenza entro 20 giorni dalla loro redazione. Perché sia possibile richiedere il codice fiscale, gli atti dovranno essere accompagnati dal modello AA5/6 debitamente compilato e bisognerà effettuare il pagamento delle imposte previste mediante il modello F24.
Una volta ottenuto il codice fiscale, per completare la registrazione degli atti sarà necessario recarsi fisicamente presso l’ufficio e presentare richiesta firmata attraverso il modello preposto (Modello 69), accompagnato da due ulteriori copie degli atti, entrambe firmate in originale e corredate ciascuna da una marca da bollo da 16 euro ogni 100 righe (sono esenti dal pagamento delle marche da bollo le APS e le ASD). A seguito del pagamento dell’imposta di registro (non dovuta dalle ODV), di circa 200 euro, potrà aver inizio l’istruttoria della pratica.
Attenzione: qualora in sede di istruttoria dovessero emergere elementi tali da invalidare il buon esito della pratica non sarà possibile ottenere alcun rimborso delle somme versate.
Una volta costituita l’associazione restano ancora almeno due aspetti di grande rilevanza che i soci fondatori sono tenuti ad affrontare: uno è l’iscrizione al registro regionale di settore, mentre l’altro riguarda la possibilità di attribuire una personalità giuridica del congresso. Oltre che nei registri provinciali e quelli comunali, le associazioni no profit possono essere iscritte anche all’interno di uno dei due registri regionali esistenti, che racchiudono rispettivamente gli enti dediti al volontariato e quelli volti alla promozione sociale. L’iscrizione ad uno di questi due registri può comportare alcuni importanti vantaggi sul piano fiscale, nonché l’opportunità di accedere ad alcuni bandi di finanziamento e il diritto di beneficiare del cinque per mille.
Per quanto riguarda l’attribuzione di una personalità giuridica all’associazione e la conseguente trasformazione in una associazione riconosciuta bisognerà procedere con una attenta valutazione degli adempimenti burocratici richiesti e dei rischi a cui si va incontro. La scelta di procedere con il riconoscimento di una associazione dipende soltanto dalla decisione che i soci decidono di prendere alla luce di queste valutazioni, ma comporta alcune conseguenze notevoli, specialmente sul piano della responsabilità giuridica ed economica. Vediamo nel dettaglio quali sono le differenze tra le associazioni riconosciute e quelle non riconosciute.
Perché una associazione possa dirsi riconosciuta è necessario che la redazione dell’Atto costitutivo e dello Statuto avvenga in presenza di un notaio, come previsto dall’articolo 14 del Codice Civile, secondo le modalità previste per la redazione degli atti pubblici. La costituzione mediante atto pubblico, una volta trasmessa la registrazione all’Agenzia delle Entrate, consente di richiedere il riconoscimento della personalità giuridica del congresso.
Precedentemente all’introduzione del Codice del terzo settore (CTS) che ha permesso di attuare i provvedimenti contenuti all’interno della legge delega 106/2016, l’iter necessario per l’attribuzione della personalità giuridica prevedeva il coinvolgimento di un legale rappresentante incaricato di presentarne domanda presso la Prefettura locale, corredata da due copie dei documenti redatti tramite atto pubblico, un elenco contenente il numero dei soci e le generalità relative ai componenti degli organi amministrativi, oltre ad un resoconto dettagliato delle attività che l’associazione intendeva svolgere, comprensiva dei bilanci preventivi e di una relazione riassuntiva della situazione economico finanziaria dell’ente (completa di attestazione bancaria che ne comprovasse la disponibilità economica e di una perizia giurata atta a certificare l’eventuale presenza di beni immobiliari). In seguito all’inoltro di tale documentazione, l’ufficio prefettizio era tenuto a pronunciarsi riguardo il riconoscimento entro 120 giorni dall’avanzamento della richiesta, ma i parametri secondo cui veniva svolta l’istruttoria potevano variare a seconda della regione interessata.
Con l’avvento della riforma e l’istituzione del registro unico questa variabilità geografica sembra venir finalmente meno: l’iscrizione al RUNTS semplificherà il riconoscimento dell’autonomia patrimoniale per gli enti del terzo settore, sottomettendo di fatto l’attribuzione della personalità giuridica ai parametri imposti per l’accesso al registro, validi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
Il riconoscimento dell’autonomia patrimoniale perfetta dell’ente rispetto ai suoi associati comporta una netta distinzione tra il patrimonio dell’associazione e quello dei soggetti che la compongono, che possono essere considerati responsabili soltanto della quota associativa versata e degli ulteriori contributi volontariamente versati. La separazione delle competenze patrimoniali comporta che soci ed associati non possono in nessun caso rispondere verso eventuali creditori dei debiti contratti dall’organismo associativo ed in egual modo il patrimonio associativo non possa essere leso dai debiti in capo ai suoi associati.
Oltre a garantire la salvaguardia dei patrimoni, procedere con il riconoscimento di una associazione comporta anche alcuni benefici legali, come la possibilità di detenere proprietà immobiliari, ricevere lasciti testamentari e donazioni, e di godere dei contributi messi a disposizione da alcuni enti pubblici. L’accesso a questi vantaggi viene tuttavia tutelato tramite una regolamentazione piuttosto stringente a cui le associazioni dotate di personalità giuridica sono soggette, differentemente da quelle a cui questa non viene riconosciuta.
Pur non godendo dei vantaggi derivati dall’autonomia patrimoniale e in generale dalle opportunità a cui il riconoscimento della personalità giuridica garantisce l’accesso, anche le associazioni non riconosciute possono contare su un discreto grado di separazione tra il patrimonio associativo e quello in capo ai singoli associati. Nel caso delle associazioni non riconosciute si è soliti parlare di autonomia patrimoniale imperfetta, poiché il coinvolgimento dei soci avviene soltanto nel caso in cui la disponibilità economica dell’associazione non sia sufficiente a coprire i debiti contratti.
Ovviamente per la costituzione di questo genere di associazioni non è necessaria la presenza di un notaio: la redazione dello statuto e dell’atto costitutivo si limita a definire i termini degli accordi presi dagli associati e a regolare le condizioni che chi vorrà associarsi sarà tenuto a rispettare. Pur garantendo un minor controllo da parte dello Stato, il mancato riconoscimento dell’associazione limita in maniera consistente le possibilità di ottenere supporto da parte di enti esterni.
L’organo fondamentale su cui si costituisce tutto l’apparato amministrativo di un’associazione è la cosiddetta assemblea dei soci, ossia lo spazio fisico e ideale in cui le personalità che partecipano al sodalizio si ritrovano per dibattere delle iniziative da intraprendere e delle problematiche eventuali che possono presentarsi nel corso della vita associativa. Secondo il Codice Civile, che negli articoli 20 e 21 regola indirettamente questo genere di situazioni, funzione fondamentale dell’assemblea è anche eleggere un consiglio direttivo, nonché un presidente che lo presieda.
Il consiglio direttivo costituisce il potere esecutivo della realtà associativa ed è incaricato di stilare un prospetto riassuntivo dell’attività associativa, comprensivo di bilancio, da far preventivamente approvare all’assemblea. Composto da un numero di membri compreso tra tre (presidente, vicepresidente e segretario) ed undici, il consiglio direttivo può essere sostituito anche dalla sola presenza del presidente di associazione, che viene in questo caso definito come amministratore unico dell’organizzazione. Indipendentemente dal numero dei membri che lo compongono, le competenze del consiglio direttivo di estendono a tutte le situazioni relative all’attività effettiva dell’ente, con particolare riguardo per gli aspetti di natura economica.
Sulla base delle disposizioni contenute all’interno dello Statuto, il consiglio direttivo si occupa della gestione delle attività promosse dall’associazione, dell’ammissione dei nuovi membri e di attribuire eventuali sanzioni disciplinari, nonché dei rapporti che il gruppo intrattiene con enti esterni. Tra i compiti del consiglio direttivo c’è anche quello di riunire l’assemblea dei soci, di garantirne la periodica convocazione e di adempiere correttamente alla tenuta della documentazione necessaria a garantire la corretta conduzione della vita associativa, come i verbali delle assemblee, i libri sociali, e i fogli di cassa.
Tanto le decisioni di tipo deliberativo quanto quelle esecutive devono rispondere alla volontà della maggioranza, a cui non può sostituirsi neppure il Presidente. Questo, infatti, pur mantenendo la rappresentanza legale del congresso, non ha la possibilità di opporsi alle scelte avallate dalla maggioranza di cui si fa portavoce.
All’interno di ogni associazione le cariche devono essere elettive e rispondere a dei criteri di rinnovamento che garantiscano la completa partecipazione di tutti gli associati.
Meno frequenti ma non per questo meno rilevanti sono i ruoli del revisore dei conti e del collegio dei probiviri. Reso obbligatorio dalla recente riforma per tutte quelle associazioni che per due mandati consecutivi impieghino più di cinque dipendenti per la gestione e lo svolgimento delle attività associative e abbiano entrate superiori ai 220 000 euro o un attivo superiore ai 110 000, il revisore dei conti si occupa tendenzialmente di valutare la tenuta dei registri contabili, l’integrità del patrimonio sociale e l’aderenza delle operazioni finanziarie ai principi che regolano la vita associativa. Essendo per lo più facoltativo, gli obblighi a cui è soggetto possono variare a seconda delle indicazioni presenti nello statuto e, se non definito altrimenti all’interno dei documenti fondativi dell’associazione, il ruolo di revisore può essere ricoperto anche da un soggetto esterno all’associazione.
Il collegio dei probiviri o collegio dei garanti invece sembra essere l’organo sociale che è più difficile riscontrare all’interno delle associazioni di piccole dimensioni. Non obbligatorio per alcuna categoria associativa, viene adottato con una frequenza leggermente maggiore all’interno di enti di ampie dimensioni, in cui è più probabile che sia necessario un intervento istituzionale per gestire i rapporti tra i soci. Questo organo svolge una funzione meramente sociale e si occupa di moderare la vita interna dell’associazione intervenendo nelle eventuali controversie che potrebbero sorgere tra i soci.
L’atto costitutivo e lo statuto sono i due documenti fondamentali su cui l’attività associativa basa il proprio operato. All’interno di questi atti vengono sanciti gli scopi e i principi che guideranno il consorzio, la struttura organizzativa che lo amministrerà e i criteri per entrare a farne parte, oltre agli aspetti più burocratici come la sede a cui l’associazione fa riferimento o l’identità dei soci fondatori.
Entrando nello specifico, l’atto costitutivo è il contratto che sancisce la nascita della associazione, pertanto deve contenere tutti gli estremi che permettano di identificare storicamente il momento in cui il patto ha avuto luogo. I modelli a cui fare riferimento possono essere facilmente reperiti online, ma bisognerà prestare attenzione agli aggiornamenti che, con la progressiva attivazione della riforma, potrebbero modificare alcuni requisiti. In linea di massima, considerate le diverse declinazioni che potrebbe assumere a seconda della tipologia di associazione che si decide di formare, le informazioni che l’atto costitutivo deve contenere fanno riferimento alle informazioni anagrafiche necessarie ad identificare in maniera univoca i soci fondatori, alla data e al luogo in cui l’assemblea costitutiva ha avuto luogo e all’organizzazione amministrativa attraverso la quale si decide di amministrare l’associazione, comprensiva dei riferimenti relativi ai membri del consiglio direttivo eletto.
Le altre informazioni che è necessario siano contenute all’interno del documento riguardano l’associazione stessa, e sono la denominazione che questa assumerà, gli scopi che si propone di perseguire e le attività tramite cui intende realizzarli. Ovviamente, la redazione di tali dati deve essere necessariamente controfirmata da tutti i soci presenti al momento della stipula del patto, ed essere supervisionata da un notaio incaricato nel caso in cui si intenda dar vita ad una associazione riconosciuta.
Se l’atto costitutivo risponde principalmente ad una funzione identificativa atta a dimostrare le caratteristiche dell’ente, lo statuto invece racchiude in sé le informazioni relative a disciplinare la vita sociale dell’associazione, definendo le modalità che dovrebbero caratterizzare i rapporti che intercorrono tra i soci e tra soci ed organismo associativo. Rispetto a quanto contenuto all’interno dell’atto costitutivo, lo statuto si trova ad affrontare questioni strettamente legate agli aspetti pratici della vita associativa, come le norme che regolano l’ordinamento interno e l’amministrazione, i requisiti necessari per entrare a far parte del congresso e gli obblighi che legano gli associati, nonché le informazioni relative al patrimonio di cui l’associazione dispone per raggiungere lo scopo prefissato.
Altre informazioni che lo statuto deve contenere riguardano l’eventuale conclusione del progetto associativo: all’interno del documento devono essere esplicitate le modalità che regolamenteranno l’estinzione dell’ente e la devoluzione del patrimonio residuo. Come per l’atto costitutivo, anche lo statuto deve essere sottoscritto da tutte le personalità coinvolte e compilato alla presenza di un notaio se si desidera richiedere l’attribuzione della personalità giuridica.
Tanto l’atto costitutivo quanto lo statuto possono subire alcune piccole variazioni a seconda della tipologia di associazione che si desidera costituire, ma sarà necessario trattare nel dettaglio l’argomento all’interno di articoli dedicati, in modo da tener conto di tutte le eventualità contemplate.
L’aspetto economico è uno dei fattori che contraddistingue maggiormente le associazioni no profit dalle altre organizzazioni collettive previste dal Codice Civile. Differentemente dalle fondazioni che, come abbiamo già visto, sono intrinsecamente legate alla disponibilità di un fondo patrimoniale destinato a finanziare le attività promosse, le associazioni basano la propria sopravvivenza sul contributo attivo degli associati e non contemplano necessariamente la presenza di una disponibilità economica consistente.
Essendo sostanzialmente estranee a finalità lucrative, per sostenere le iniziative attraverso cui coltivare lo scopo espresso nello statuto le associazioni devono fare riferimento a diversi tipi di fondi, stanziati dalla Comunità Europea, dallo Stato italiano o dalle province di appartenenza. Per poter accedere a questo tipo di finanziamenti è necessario che l’ente soddisfi alcuni requisiti, che possono consistere in parametri specifici espressi all’interno dei vari bandi o semplicemente nell’iscrizione ad uno dei registri provinciali.
Oltre ad affidarsi ai finanziamenti pubblici, per sostenere le spese necessarie al mantenimento dell’organismo associativo l’ente può affiancare alle iniziative correlate allo scopo principale anche attività di tipo commerciale richiedendo l’iscrizione al REA (Repertorio economico amministrativo) ed aprendo regolare partita IVA. La registrazione al Repertorio economico amministrativo (REA) può essere richiesta dal legale rappresentante o da un membro associato sotto esplicita delega del Consiglio Direttivo tramite l’inoltro telematico del Modulo R al registro imprese dell’ufficio della Camera di Commercio di pertinenza.
L’esercizio di un’attività commerciale da parte di una associazione no profit viene considerata lecita dal legislatore purché i proventi derivati da questa non superino mai quelli relativi alle attività istituzionali. Nel caso in cui si decida di intraprendere questo percorso sarà necessario procedere con la rendicontazione contabile prevista per qualsiasi società atta a perseguire scopo lucrativo, da mantenere separata a quella relativa all’attività associativa, ma sarà possibile contare su diverse agevolazioni di natura fiscale.
In aggiunta ai finanziamenti diretti e alla possibilità di provvedere autonomamente all’autonomia economica dell’ente, indistintamente dall’orientamento dell’attività, le associazioni possono inoltre contare su alcune facilitazioni, come la riduzione delle imposte comunali, l’esenzione dal pagamento dell’IVA sul capitale sociale, l’esenzione dalle imposte relative alla cessione di beni o prestazione di servizi verso gli associati o i loro familiari, e la possibilità di ottenere l’esenzione dal pagamento dell’IMU sugli immobili intestati all’associazione. Il requisito fondamentale per accedere a queste e ad altre agevolazioni è l’iscrizione dell’associazione al registro delle persone giuridiche, ossia il suo riconoscimento.
In presenza di questo requisito, per alcune categorie associative, come quelle volte alla promozione dei beni culturali, alla promozione di attività di volontariato o per le associazioni sportive dilettantistiche, è inoltre possibile accedere anche ai contributi derivati dal due per mille e dal cinque per mille.
L’introduzione della riforma del terzo settore, inaugurata dal pronunciamento del decreto legge n.117 del 3 Luglio 2017 si propone di regolamentare attraverso un’unica normativa un insieme molteplice di organizzazioni private senza scopo di lucro che si occupano di svolgere attività di pubblico interesse, perseguendo finalità civiche o di utilità sociale. Lo scopo di questo intervento legislativo è quello di ridefinire limiti e requisiti utili a determinare i confini del terzo settore, ribadendo il ruolo centrale che questo ricopre nel processo di sviluppo responsabile e solidale che sta interessando l’economia italiana.
Raccolte all’interno della denominazione di enti del terzo settore, le attività associative che risponderanno ai requisiti di legge dovranno comparire all’interno del RUNTS (Registro unico nazionale terzo settore) in una delle sette tipologie previste (ODV, APS, Imprese e cooperative sociali, società di mutuo soccorso, reti associative, enti filantropici, altri enti). Nonostante il Registro non sia ancora stato istituito, i requisiti per accedervi sono stati già espressi e se ne può desumere la ferma volontà legislativa di escludere alcuni soggetti come le amministrazioni pubbliche, i partiti politici, i sindacati e le associazioni professionali, limitando anche l’ingresso di alcuni enti religiosi.
Lo scopo del RUNTS sarà quello di sostituire i vari registri territoriali presenti, racchiudendo in un unico elenco tutte quelle attività incentrate sul volontariato e sul pubblico interesse. Gestito e aggiornato in ambito provinciale, il registro avrà sede presso il Ministero delle politiche sociali, che ospiterà anche il neonato Consiglio Nazionale del Terzo settore e la Cabina di regia. L’introduzione di questi due nuovi organi permetterà di coordinare le politiche di governo in merito all’associazionismo implementando l’armonizzazione dell’apparato legislativo.
L’introduzione della riforma garantisce anche un nuovo approccio alla regolamentazione dei rapporti tra gli enti iscritti al RUNTS e la pubblica amministrazione: oltre a poter usufruire di beni pubblici mobili ed immobili per lo svolgimento di attività, incontri e manifestazioni senza oneri, le associazioni potranno partecipare attivamente alla programmazione e alla gestione dei servizi inerenti alla loro attività, assumendo un ruolo significativo nel dialogo tra cittadini e istituzioni.
Nonostante l’intervento inaugurato dalla riforma debba ancora essere completato dall’emissione di oltre 40 decreti attuativi, le ultime settimane hanno visto concretizzarsi uno dei momenti più significativi del processo: la proclamazione della data che inaugurerà l’operatività del registro.
Secondo il decreto direttoriale n.561 del 26 Ottobre 2021
Il termine a decorrere dal quale avrà inizio il trasferimento al RUNTS dei dati relativi agli enti iscritti nei registri delle ODV e delle APS delle regioni e province autonome e nel registro nazionale delle APS è individuato nel 23 novembre 2021.
stabilendo conseguentemente le scadenze che le istituzioni pubbliche interessate dal processo di trasmigrazione saranno tenute a rispettare.
All’interno del decreto vengono esplicitate anche le responsabilità degli uffici competenti nella verifica delle informazioni utili a verificare la posizione degli enti precedentemente sottomessi alla loro giurisdizione, al fine di garantire che i requisiti di accesso al registro vengano rispettati. La trasmissione delle valutazioni derivate dal processo dovranno essere trasmesse entro e non oltre 180 giorni dai termini previsti (le scadenze imposte sono: 23 Dicembre 2021 per gli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che gestiscono il Registro nazionale delle APS e il 22 Febbraio 2022 per gli uffici delle regioni e province autonome): in caso di mancata comunicazione si procederà all’inclusione degli enti in base alla formula del silenzio assenso.
Le precisazioni presenti al quinto comma del provvedimento si occupano invece di specificare le modalità istruttorie riservate ai processi in atto nella data in cui il RUNTS vedrà la luce, definendo che
Ai sensi dell’articolo 38, comma 2 del D.M. 15 settembre 2020*, i registri delle ODV e delle APS di cui alle leggi 11 agosto 1991*, n. 266 e 7 dicembre 2000, n. 383*, rimangono operanti esclusivamente per i procedimenti di iscrizione e cancellazione pendenti al giorno antecedente il termine di cui al comma 1; a conclusione degli stessi, i dati degli enti iscritti saranno trasferiti al RUNTS con le modalità di cui al suddetto decreto. Ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, con l’avvio del RUNTS cessano altresì le procedure di iscrizione all’anagrafe unica delle Onlus, che rimane operante esclusivamente per i procedimenti di iscrizione e cancellazione pendenti alla data del 22 novembre 2021.
A decorrere dal 23 Novembre 2021 non sarà quindi più possibile effettuare la registrazione presso i registri tradizionali, ma sarà necessario presentare istanza di iscrizione in una delle sezioni previste all’interno del RUNTS. Come definito dal Decreto Ministeriale 106 del 2020 le modalità per presentare domanda consisteranno nell’inoltro telematico della richiesta da parte del legale rappresentante dell’associazione, corredata da copia dello Statuto, dell’Atto costitutivo e degli ultimi due bilanci approvati.
L’inaugurazione del Registro Unico Enti Terzo Settore comporterà anche alcune novità riguardanti l’attribuzione della personalità giuridica, uniformando i requisiti patrimoniali minimi necessari per ottenerla. Le associazioni in grado di attestare la disponibilità di un patrimonio superiore o uguale a 15 000 euro, una volta iscritte al RUNST, potranno infatti richiedere e ottenere di riconoscimento normativo semplificato in alternativa al procedimento concessorio precedentemente illustrato.
Pur imponendo una serie di obblighi in materia di trasparenza, l’iscrizione al registro ed il conseguente riconoscimento come ente del terzo settore consente di accedere ad alcune importanti agevolazioni e a diversi fondi e strumenti finanziari dedicati, come ad esempio la possibilità di accedere al 5 per mille, da cui le associazioni non iscritte saranno escluse. Il riconoscimento come Ente del terzo settore permetterà inoltre di continuare a beneficiare di tutti quegli sgravi fiscali dedicati alle attività commerciali volte a finanziare le iniziative associative, a fronte delle limitazioni introdotte in merito dal Codice del Terzo Settore.
Per garantire un sostegno economico maggiore agli Enti, inoltre, è prevista anche l’istituzione di un fondo privato per il finanziamento delle attività sociali, che assumerà le caratteristiche di una fondazione di partecipazione senza scopo di lucro e si chiamerà Fondazione Italia Sociale.
Le trasformazioni portate dalla Riforma che abbiamo trattato poco sopra segnano un momento molto importante nella storia del Terzo Settore: mai prima d’ora la legislazione si era occupata in maniera tanto approfondita delle problematiche attinenti l’associazionismo elaborando tanto compiutamente strategie finalizzate ad incentivare la collaborazione tra istituzioni pubbliche ed enti sociali. I provvedimenti introdotti offrono alle Associazioni nuovi strumenti per agire all’interno del tessuto sociale, dimostrando da parte dello Stato piena fiducia nelle potenzialità di un settore in costante crescita.
Per riuscire a sfruttare le condizioni determinate da questi nuovi provvedimenti è necessario maturare una consapevolezza profonda delle dinamiche che regolano il mondo dell’associazionismo, imparando a riconoscere i tratti dinamici e originali che lo caratterizzano. Prodotto della libera iniziativa dei singoli, il Terzo Settore si specchia nell’attualità modificando le proprie tendenze sulla base delle necessità sociali ed adattando le proprie forme ad un mondo in costante evoluzione. Mantenersi sempre aggiornati sulle opportunità offerte in ambito nazionale ed europeo può fornire spunti e soluzioni indispensabili alla riuscita di un progetto associativo, oltre a permettere di accedere prontamente ad eventuali finanziamenti.
Bisogna ricordare, inoltre, che la riforma è ben lontana dal proprio compimento: perché tutti i provvedimenti previsti dal Codice possano essere resi operativi dovranno essere emanati ulteriori decreti attuativi che potrebbero modificare anche in maniera consistente i tratti della nuova legislazione.