Le imprese sociali sono organizzazioni private impegnate nell’esercizio di attività economiche di pubblico interesse, con lo scopo di produrre un miglioramento tangibile delle condizioni in cui versa la comunità nel suo complesso, soddisfacendo esigenze sociali specifiche. Incluse tra gli enti del terzo settore, rispondono prevalentemente alla normativa prevista dal CTS introdotto assieme alla Riforma del Terzo Settore poiché questa risulta in gran parte compatibile con le disposizioni del D.LGS 112/2017, ma vantano una regolamentazione particolarmente complessa, ricca di disposizioni attuative e integrative che disciplinano diverse circostanze particolari.
Pur differenziandosi per le modalità tramite cui perseguono gli scopi espressi negli atti costitutivi, condividono con gli altri enti del terzo settore la mancanza di finalità lucrative e la forte vocazione umanitaria, strettamente connessa al processo storico e sociale da cui l’impresa sociale prende forma.
Il contesto in cui si sviluppa questo particolare modello imprenditoriale è infatti quello dell’ultimo ventennio del 1900, segnato dall’incapacità dei sistemi di welfare di far fronte in maniera adeguata ai nuovi bisogni di una società in rapida evoluzione. Escluse dalle logiche che governano il mercato economico tradizionale e ignorate dalle politiche governative, le necessità collettive avvertite come più urgenti hanno indotto lo sviluppo di forme collaborative inedite, spingendo le collettività più bisognose e le attività economiche locali a coltivare progetti di supporto reciproco che potessero apportare un contributo significativo al contesto comunitario in cui si inserivano.
L’elemento che contraddistingue l’impresa sociale da altre realtà imprenditoriali può infatti essere individuato proprio nella capacità di produrre un valore sociale di cui potrà godere tutta la popolazione circostante, grazie all’offerta di servizi dedicati alle esigenze locali, all’adozione di pratiche solidaristiche orientate verso il perseguimento di una maggior giustizia sociale, e al coinvolgimento diretto dei lavoratori nella promozione dei valori considerati come più rappresentativi per quell’esperienza imprenditoriale.
Secondo quanto riportato nel D.LGS. n. 112 del 3 luglio 2017, integrato e modificato dal D.LGS 95 del 20 luglio 2018,
Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, […] che, in conformità alle disposizioni del citato decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività
Le imprese sociali non sono quindi un soggetto giuridico specifico, bensì una categoria in cui possono essere racchiuse diverse entità, quali fondazioni, comitati, associazioni e società, di persone o di capitali che siano, purché la loro organizzazione risponda ad alcune caratteristiche specifiche. Sono invece sempre escluse da questa tipologia di impresa le amministrazioni pubbliche e le società costituite da un’unica persona fisica, in quanto sarebbe impossibile per questi soggetti adottare i principi solidali e democratici che contraddistinguono questo tipo di esperienze.
Come anticipato poco sopra, pur operando in un contesto prossimo a quello in cui si sviluppano gli altri enti del terzo settore, ciò che differenzia le imprese sociali è la modalità tramite cui perseguono i propri fini solidaristici: differentemente da quanto generalmente contemplato, infatti, per le imprese sociali non è previsto l’obbligo di avvalersi principalmente del contributo volontario dei propri associati per raggiungere i propri obbiettivi, ma si considera l’esercizio imprenditoriale stabile quale attività prevalente dell’organizzazione.
Pur essendo previsto che l’organizzazione operi principalmente all’interno di settori dalla conclamata utilità sociale, come quelli dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’educazione, della formazione scolastica o della tutela ambientale, esaustivamente elencati all’interno dell’art. 2, c.1, D.LGS 155/2006, in deroga a tale principio può essere considerata impresa sociale anche un ente che, indipendentemente dall’ambito in cui esercita, incentivi e promuova l’inserimento lavorativo di persone disabili o appartenenti a categorie svantaggiate.
Tra le attività che le imprese sociali possono svolgere figura anche il microcredito, precluso agli altri ETS. Contrariamente agli altri enti, è invece negata loro la possibilità di curare procedure di adozione internazionali, di svolgere iniziative di beneficenza, o di promuovere valori civili, poiché ciò non viene considerato conciliabile con l’attività imprenditoriale che le caratterizza.
Perché una impresa sociale possa dirsi tale è necessario che risponda a una serie di requisiti, necessari anche a garantire l’accesso ad alcune particolari agevolazioni previste per questa categoria. Come previsto dal Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 3 luglio 2015, infatti, anche questo tipo di ente potrà godere del regime di aiuto destinato alle imprese impegnate nel perseguimento di obbiettivi di utilità sociale operanti sul territorio nazionale.
Differentemente da quanto previsto per gli altri ETS, che possono essere istituiti anche tramite scrittura privata, per le imprese sociali la costituzione può avvenire solamente tramite atto pubblico notarile, e l’atto deve esplicitare formalmente l’obbiettivo di pubblica utilità e l’assenza dello scopo di lucro, elementi indispensabili per conferire all’impresa carattere sociale.
Una volta redatti, gli atti costitutivi dovranno essere depositati presso L’Ufficio del Registro delle Imprese a cui la sede legale dell’organizzazione fa riferimento, perché questo possa procedere all’iscrizione dell’impresa nella sezione del registro dedicata entro trenta giorni dalla sua costituzione. A tale ufficio andranno inoltrate anche tutte le eventuali modifiche che i documenti subiranno nel corso dell’operatività dell’ente, nonché tutti gli altri atti definiti dal Decreto interministeriale del 16 marzo 2018, tra cui il bilancio di esercizio e il bilancio sociale, redatti secondo quanto previsto dalle linee guida.
L’iscrizione al Registro delle imprese risulta necessaria al riconoscimento dell’ente, e implica automaticamente anche la registrazione dello stesso presso il RUNTS. Il trasferimento dei dati da un registro all’altro avviene infatti tramite una comunicazione diretta tra gli uffici coinvolti, senza che sia necessario completare una doppia registrazione.
Tra gli altri requisiti previsti perché un’impresa possa essere considerata sociale compare anche la presenza di ricavi derivati dall’attività prevalente (ovviamente di interesse generale) per più del 70% dei ricavi totali, o l’impiego di personale appartenente a categorie sociali considerate svantaggiate in misura non inferiore al 30% degli impiegati totali. Questa non può, inoltre, limitare in alcun modo l’erogazione dei propri beni o dei servizi svolti in favore dei propri soci, neppure in maniera indiretta.
Per mantenere il proprio titolo, un’impresa sociale è obbligata ad adottare modalità gestionali specifiche che preservino l’assenza di finalità lucrative. Tra queste compare l’obbligo di redigere regolarmente il bilancio sociale, a prescindere dall’entità delle entrate, nonché quello di dotarsi di un organo di controllo (generalmente non previsto per gli altri enti, eccezion fatta per le fondazioni). Tanto negli organi di controllo quanto in quelli direttivi non è possibile che compaiano imprese private a scopo di lucro o soggetti appartenenti alle pubbliche amministrazioni.
La necessità di mantenere in essere il carattere sociale dell’impresa impone delle procedure specifiche anche in caso di trasformazione o cessazione dell’impresa. Ogni operazione straordinaria risulta infatti vincolata all’approvazione esplicita da parte della Direzione Generale del Terzo Settore che, incaricata di valutare la conformità dell’azione con quanto previsto dal Decreto ministeriale del 27 aprile 2018, dovrà fornire un responso entro 90 giorni dalla ricezione della documentazione attestante la richiesta. Nel caso in cui l’istituzione accertasse una violazione delle disposizioni e non venissero intraprese, da parte dell’ente, le iniziative necessarie ad adeguare la propria condizione alle prescrizioni stabilite dal decreto, la Direzione potrà disporre la revoca della qualifica.
Qualora si decidesse invece di cessare l’attività imprenditoriale o di procedere volontariamente con la rinuncia alla qualifica il patrimonio dell’Ente dovrà essere devoluto ad altri ETS in grado di vantare almeno tre anni di attività, oppure possono essere fatti confluire all’interno di particolari Fondi previsti dall’articolo 16, comma 1 del D.LGS. 112/2017: differentemente da quanto previsto per gli altri enti, nel caso dell’impresa sociale il patrimonio interessato comprende tutti gli averi dell’organizzazione, con l’unica eccezione per il capitale eventualmente conferito dai soci.
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